La macroeconomia è quel ramo delle scienze economiche che si occupa, a livello di aggregati, della struttura economica di stati e organismi sovrannazionali.
Contrapposta spesso alla microeconomia (che studia il comportamento economico dei singoli attori e delle imprese), la macroeconomia è quella branca che indaga sull’andamento delle economie degli stati ed è particolarmente prezioso il suo apporto teorico alla formulazione di politiche economiche (monetarie, fiscali, del lavoro) necessarie al perseguimento dello sviluppo di una nazione ma anche nell’approntare soluzioni e predisporre interventi correttivi (indicatori macroeconomici Italia).
Studiando i dati macroeconomici, le istituzioni si prefiggono lo scopo di individuare le cause di un determinato fenomeno (stagnazione, recessione, disoccupazione, inflazione o deflazione etc) in modo da formulare interventi mirati, in un arco temporale predefinito.
In parole povere, analizzare i principali indicatori macroeconomici di un paese, non è solo utile ad effettuare previsioni di crescita (forecast) ma anche ad individuare i motivi di un rallentamento, di una criticità e ad approntare i dovuti interventi risolutivi.
In un contesto di world economy, di globalizzazione come quello odierno, l’analisi macroeconomica è, spesso, rivolta oltre i confini nazionali.
Spiegare fenomeni come la disoccupazione, la stagnazione, la stagflazione, richiede di analizzare anche i flussi internazionali, tanto dei beni e delle transazioni quanto dei flussi di persone.
Storicamente sono tanti i concetti e le teorie che hanno diviso gli studiosi di macroeconomia, ma non c’è dubbio che la più annosa contrapposizione risale ai tempi della teoria classica di Adam Smith, il quale propugnava il libero mercato avulso dall’intervento dello stato (equilibrio macroeconomico), a cui si contrapponeva l’idea di John Maynard Keynes, fautore dell’intervento statale nel sostenere l’economia durante i periodi di crisi attraverso l’espansione della spesa pubblica.
Cosa sono
Gli indicatori economici sono facilmente individuabili, anche perché i notiziari ne parlano quasi sempre a corredo delle notizie politiche e del loro impatto sull’economia; tutti abbiamo familiarità non solo con il tasso di disoccupazione (o di occupazione), ma anche con il PIL (prodotto interno lordo), con l’inflazione e l’IPC (indice dei prezzi al consumo). Più difficile considerare il loro utilizzo e la loro utilità tanto per i governi quanto per gli investitori.
Iniziamo innanzitutto a distinguere due tipi di indicatori: indicatori leading (utili ai governi per approntare nuove politiche in quanto rendono possibile fare previsioni sull’andamento futuro dell’economia) e indicatori lagging (che analizzano la performance pregressa dell’economia, utili per individuare un determinato trend).
Tra gli indicatori leading troviamo i tassi di interesse, i rendimenti e il valore delle azioni, ma anche i prezzi del mercato immobiliare e le statistiche industriali.
Tra gli indicatori lagging annoveriamo dati economici come l’inflazione, la disoccupazione e il PIL, ma anche il trend della valuta e delle materie prime.
Utilizzo
L’utilità dei dati macro per i governi, è facilmente intuibile, più complesso è il loro utilizzo da parte degli investitori perché spesso, tali dati, per la loro natura tendono a fornire dati contrastanti e apparentemente paradossali. Ad esempio, può accadere che in presenza di alti tassi di disoccupazione l’indice azionario salga notevolmente.
Secondo un’interpretazione logica ciò è irrazionale: maggiore disoccupazione porta ad una minore capacità di acquisto, quindi contrazione della domanda e recessione economica. Secondo una visione più ottimistica, maggiore disoccupazione porta momentaneamente ad un abbassamento del costo del lavoro, quindi maggiori profitti per le aziende.